lunedì, marzo 09, 2009


Anemone rosso
( Anemone fulgens)



Per la sua caducità simboleggia i sentimenti effimeri, il senso di abbandono, desolazione e l'amore tradito, ma anche la speranza e l'attesa. Da regalare per dire: mi trascuri, torna da me. Non solo ad un amore ma anche ad un amico e un parente.





Perseveranza










Divinità della corte di Chloris ( la dea dei fiori), Anemone catturò il cuore di Zefiro ( il vento della primavera) e di Borea( la tramontana). Chloris, ingelosita, trasformò Anemone in un fiore condannato a schiudersi precocemente sotto le violente dei venti. Così vuole la mitologia greca, che in effetti prende spunto dalla caducità dei petali dell'anemone: un fiore bellissimo, ma che dura poco.
Il suo nome viene dal nome greco anemos, cioè vento.
Regalarlo equivale a dire: "Non sono cieco, vedo che mi trascuri e vorrei che tu tornassi a me". Una richiesta che può essere riferita alla dolce metà, ma anche ad un amico, ad un fratello, o persino ad un figlio. Il significato di tristezza misto a speranza è confermato anche da numerose leggende cristiane in Terra Santa, dove gli anemoni crescevano numerosi, di colore rosso fuoco e profumatissimi: secondo la tradizione, questi fiori spuntarono dalle gocce del sangue di Cristo cadute ai piedi della croce. Nell'Ottocento, e fino ai primi decenni del Novecento, l'anemone è stato un fiore di gran moda in Europa, per poi essere sostituito da altre varietà più esotiche.

















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La viola mammola
E’ un altro dei fiori importanti del prato primaverile. Essendo tra le specie botaniche più antiche, il vocabolo che la definisce nella lingua greca è di origine anellenica.Teofrasto l’annovera tra le brasicaceae, come ortaggi, un po’ come il cavolo nero, la rucola e la rughetta, poiché come risaputo le sue foglie vengono impiegate anche nelle insalate.Secondo Teofrasto la viola odorata fioriva subito dopo la leucoion vulgaris, la viola bianca.Plinio si sofferma a descriverci i vari colori delle viole, purpurae, lutaee, albae: sulle viole gialle e sulle viole purpuree che ben conosciamo, deve essersi accentrata l’attenzione dei popoli sin dalla più alta preistoria.Come altri fiori del prato primaverile, anche la viola appare nelle decorazioni parietali della cultura minoica, in particolare la viola fragrans compare su un frammento di affresco da Haghia Triada.
Il ricordo preciso di una utilità alimentare della viola sia pure trasportata sul piano mitologico, è chiaramente riportata nelle fonti antiche in un passo dei Geoponica in cui si legge della bella Io che tramutata in vacca, solo per lei furono fatte sorgere le viole come nutrimento. Apicio dava la ricetta di un vino di viole.Sono numerose le testimonianze dell’utilità della viola e tutte si ricavano dalle numerose ricette dalla farmacopea. Dioscoride elencando le virtù della viola bianca, affermava che sue radici ridotte in poltiglia e i petali seccati erano utili contro le infiammazioni, ulcere e malattie varie, hanno cioè, il potere di purificare ed in questo di certo si esemplifica la sacralità della pianta.Proprietà terapeutiche hanno parimenti le viole purpuree di cui Dioscoride elenca i vari usi contro le malattie dello stomaco, le febbri maligne, il mal di ventre, la pleurite e in genere tutte le malattie dell’apparato respiratorio.Inoltre Virgilio, Plinio e Columella indicano nei fiori di viola i preferiti dalle api per la formazione di ottimo miele, e questa notizia di certo le ricolloca ancora una volta come possibili fiori sacri del mondo arcaico.Si sa, il miele è uno dei cibi più antichi e gli è riconosciuta una certa sacralità. Nel culto greco infatti il miele è legato solitamente al rito funerario o dedicato a divinità ctonie, ed apare più volte come offerta cultuale anche nel periodo miceneo dove sembra essere un’offerta piuttosto comune.Nell’importante sito archeologico di Knosso ad esempio, vi era un’anfora di miele dedicata alla famosa Eleuthyia, dea cacciatrice patrona delle nascite, che aveva un santuario a Latô e può essere associata tanto a Ilizia quanto a Latona.Per il suo richiamo ad una cultura primitiva, notiamo ancora il significato iniziatico del miele nel mito di Glaukos annegato e risorto in un pythos di miele.Inoltre la viola è legata al miele in quanto Marcello Medico racconta di un prodotto medicamentoso che prevedeva l’uso dei fiori di viola uniti al miele.
Al pari del croco anche la viola forniva una tintura vegetale, che dava quel colore azzurro viola tante volte ricordato in contesti letterari/mitologici, come ad esempio il citato azzurro viola dei fiori odorosi dei prati di Enna, dello stesso colore solo più scuro è anche la fonte fatata, la Porta verso l’Altromondo dove Ade sprofonda con Persefone, quello che oggi è noto come il lago di Pergusa.Anche in Omero sono piuttosto frequenti gli aggettivi coloristici legati alla viola, colori di solito dati al mare, mare che riflette le nuvole viola della tempesta.Mare di viola si può forse leggere anche nella denominazione di Ionos data a quel tratto di mare che si estende dall’Epiro alle coste italiche e che un antico mito legava al passaggi di Io, la sciagurata fanciulla/vacca che si nutre di viole.







Plinio dava il metodo di preparazione dell’estrazione della tintura dalla viola, sottolineandone la primitività: si ricavava dai petali delle viole secche cotte nel’acqua e pressate.Seppure non ci sia alcuna diretta testimonianza sull’importanza della tintura, è molto probabile che anche questa delle viole (come la gialla tintura del croco) avesse un significato sacrale. E’ sottinteso e da forse una qualche testimonianza il fatto che gli Ioni avessero come capo vestiario dei mantelli azzurro viola che è per altro il fiore sacro della loro tradizione. Nel mito greco è il fiore di Ione, perciò è sacro alle stirpi ioniche.A Ione, eroe capostipite degli Ioni, legato in modo indiscutibile alla viola, le Ioniadi, ninfe delle viole, offrono al momento del suo arrivo nell’Elide una corona intrecciata di viole gialle. Con questa ghirlanda sacra, stephanos, simbolo di potenza regale ed anche divina, Ione riceverà l’investitura della Pisatide. Per tale ragione le viole risultano essere i fiori degli della Ionia, il fiore degli Ioni.Ione, l’eroe al quale si offre la corona di viole, è ritratto come cacciatore: giunge alle rive dell’Alfeo dopo aver a lungo inseguito un cinghiale. Con la corona sacra offertagli dalle mitiche Ioniadi, le fanciulle delle viole, entra in possesso di quella regione della Pisatide che etimologicamente vuol dire la regione dei campi umidi d’acqua, regione irrigua, quindi adatta all’avvio delle prime pratiche agrarie.All’acqua, da sempre elemento di fecondità, sono legate anche le stesse Ioniades, le ninfe benevoli che accolgono l’eroe. Secondo Pausania, un loro tempio sorgeva nei pressi del fiume Cytherius nell’Elide, noto per il potere curativo delle sue acque.Nessun mito metamorfico lega Ione alla viola, così come accade tra il croco e l’heros Krokos, così come accade con il giacinto e l’heros Hyakinthos; ma il suo stretto rapporto con il fiore illustrato nel mito peloponnesiaco fa presupporre l’arcaico aspetto di un dema agrario riflesso nel culto eroico tombale di cui si ha un preciso ricordo. Infatti Ione ha una tomba nella pianura attica in una parte detta i fiumi designazione che ripropone il rapporto con l’elemento fertile dell’acqua, utile alla vegetazione, alla vita in ogni sua forma. E’ proprio in questo modo che Ione riesce ad inserirsi nella tradizione attica con l’aspetto dell’heros agrario.Richiamano ad un’antica sacralità della viola, la predilezione degli ateniesi per questo fiore, poiché si ritengono diretti discendenti degli Ioni, difatti si facevano chiamare i coronati di viole. Ad un lontano mondo di primitivi coltivatori Ione è legato anche nel mito argivo, ossia legata ai cittadini di Argo. Secondo un’antica tradizione, Ione sposa la figlia di Selinus, re di Aigialos, unito onomasticamente ed anche sacralmente al selinon, l’apium graveolens, ossia la sacra pianta del sedano. La sposa il cui nome è Helike, la fragile fanciulla del salice, ha un nome che riporta ad un primigenio mondo vegetale, infatti Teofrasto ricorda come varietà nana del salice contradistinta dalla proprietà di avere un frutto fecondo.Il sedano di Selinus, aveva un preciso significato sacro mantenuto nei rituali di età classica e si poneva in rapporto con i rituali e le cerimonie funebre, per cui nella superstizione comune era simbolo di morte o di malattia.Ma per il consueto duplice significato del vegetale sacro le corone di sedano, ghirlande note all’uso funerario, sono anche le corone benaugurali che si offrono ai vincitori delle Istmiche e delle Nemee.Ma tornando alla città della fanciulla del salice, sorge spontaneo il pensiero di Helike e di Ione, eroi e agresti progenitori degli abitanti della città di Helike. La stessa città di Helike, dove fioriva il culto di Posidone Helikonios, è ricordata nella tradizione come la città sacra degli Ioni.Se il rapporto stretto tra Ione e la viola ci porta particolarmente in Attica e nella Grecia, il mito metamorfico sull’origine del fiore, come pianta utile e sacra, si radica invece in Asia Minore. Da Arnobio apprendiamo che le viole sono sorte dal sangue di un essere eroico. Attis, figlio di Nana fecondata dal chicco del melograno (altra importante pianta con valenze sacrali), è tanto amato dalla Dea Cibele, la Grande Madre frigia e dall’essere androgino Acdestis.In una versione del mito dell’eroe, Attis dovrebbe sposare Ia, la viola, ma una improvvisa pazzia passionale suscitata dall’apparizione di Acdestis trasforma il banchetto nuziale in uno scenario sanguinoso: dal sangue di Attis che si evira sotto un pino e dal sangue di Ia che si suicida, nascono infatti le viole dai petali rosseggianti.Queste stesse viole nate dal sangue dei due eroi asiatici, sono colte a primavera per ornare lo stesso pino che con la sua freschezza simboleggia Attis, la cui essenza è rimasta così cristallizzata in una sorte di aura immortale. Così Arnobio, ricorda come Zeus abbai negato ad Attis una vera e propria resurrezione e che per questa ragione appare essere la più pura tipologia di dema, di essere divino morto.L’antico heros Attis, probabile dema del fiore della viola, pare più che rimanere congelato nella situazione sopra descritta, passare nello stadio culturale successivo, quindi come divinità pienamente agraria, e a sostegno di questa teoria, contraddicendo Arnobio, viene in aiuto Firmico Materno respingendo così la teoria secondo la quale Attis è rimasto eternamente in una condizione di morte. Infatti Firmico Materno illustra la grande festa primaverile con la quale i Frigi commemorano il miracoloso ritorno alla vita dell’eroe.Ad unirlo ancora una volta al fiore, in un’antica raffigurazione , su una stele votiva attica appare Agdistis che offre un fiore ad Attis, probabilmente il fiore che lo rappresenta, la viola.Da tutto ciò appare evidente come il divino Attis sottintenda il dema di una civiltà di piantatori della zona anatolica legata all’utile specie della viola.Ci sono elementi che fanno pensare che la presenza della viola come pianta sacra sia nelle tradizioni degli Ioni sia in quelle anatoliche, non dipenda tanto dal fatto che gli Ioni fossero arrivati in Anatolia, quanto più ad un sincretismo avvenuto in epoca più antica di quella assegnata al loro arrivo su quelle terre. E’ naturale, così, che rimanga aperta anche la questione se la pianta sia stata accolta nelle tradizioni degli Ioni mediante un sincretismo avvenuto in epoca imprecisata con un popolo di piantatori, o se invece si tratti di una tradizione ancestrale mantenuta da tempo antichissimo dagli Ioni stessi.In qualunque modo si vedano questi legami e questi intrecci, poiché la viola a differenza di altre piante non ha questo preciso e ben definito rapporto tra un heros e la sua sacralità, mi porta ad un intuizione di tipo “sciamanico”, poiché in questo caso la pianta della viola in relazione alla stirpe degli Ioni si pone quasi come una pianta totemica. Un’antica sacralità della viola si conserva anche nelle tradizioni più tarde di popoli indoeuropei non greci. Una leggenda della Lusazia riflette un mito di metamorfosi legato alla viola nella vicenda della figlia del Dio Tschernebog, un essere divino femminile che rinasce ogni dieci anni sotto forma di viola nella notte di Valpurga.Ritornando al mito di Persefone, la viola compare accanto al narciso nel dramma dell’inganno che la porto a dinventare sposa di Ade.In un epinicio di Bacchilide si legge di Persefone coronata di fiori, fiori tra i quali emerge anche la viola.Come Persefone, anche Afrodite, le Muse, Tetis, esseri divini che mantengono tracce evidenti di appartenenza ad un primitivo sfondo cultuale, si ornano il capo di viole.Queste tracce evidenti di miti e culti tipici di una civiltà di piantatori mediterranei nel complesso della religione greca, portano a pensare alla presenza di stirpi indoeuropee elleniche nel mondo mediterraneo in un momento molto arcaico nel quale ancora non si era imposta in modo assoluto la presenza dell’agricoltura dei cereali.E’ senza dubbio molto bello guardare a quelli che furono i passaggi dei popoli dalle piante al periodo cerealicolo, e più studio alcuni libri, più mi rendo conto di quanto poco netto sia questo passaggio e di quanti forti dubbi vi siano ancora in merito a queste vicende così antiche. Rimane di fatto che la viola, qualunque sia stata la sua importanza sacrale o nutrizionale per i nostri antenati, è uno fiore magnifico nei colori e nei profumi e di certo merita essere collocato in quella vasta “piana” primaverile.
Fonti:Elementi di culture precereali nei miri e riti greci di Ileana Chirassi I miti greci di Robert GravesPeriegesi della Grecia di Pausaniahttp://www.leserre.it
htmlhttp://annesdoor.com/artecultura3.
htmlhttp://www.csun.edu/~hcfll004/townsparta.html
Articolo scritto da Rebecka.

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LA PRIMULA
La Primavera bussa già alle porte:
prati spogli si destano lentamente, qualche filo d’erba fa breccia nel terreno e fanno capolino le corolle solitarie dal color del sole: sono le Primule. S’inchinano alla primavera, si porgono al mondo, donando il loro umile fiore e offrendo le proprie virtù salutari.


Quando la natura si risveglia dal lungo letargo invernale, un timido fiore appare, punteggiando di giallo la campagna.La Primula, con la sua delicata corolla, annuncia l’inizio della Primavera. Shakespeare, nel Racconto d’inverno, dedica al fiorellino queste espressioni poetiche: “Pallide Primule che muoiono nubili”, sottolineando la caratteristica di questo fiore, che nasce mentre la natura quasi non dà segni di vita, ed i vispi insetti sono ancora assopiti nei loro nidi, per cui poche piantine possono essere impollinate.Simbolo di giovinezza come messaggera della stagione rinnovatrice, la Primula dona l’augurio di buona fortuna, e per questo motivo in Gran Bretagna si offre come amuleto, che si racconta diventi potentissimo se tenuto sul cuore insieme ad un cristallo di rocca. Gli innamorati come pegno d’amore donano questo semplice fiore, perché tra le sue corolle si cela questo messaggio: “La chiave del mio cielo è nel tuo cuore”.



Nella tradizione popolare la Primula ha eccellenti qualità terapeutiche; un articolo, scritto nel lontano 1768 a Livorno, racconta delle sue virtù: “A restringere le lacrime, a pisciare la pietra che fosse nella vescica per orinare, a occhi rossi, a duolo d’orecchie, a duolo di stomaco, a febbre calda, a far aumiliare il corpo e levar la tossa a chi avesse ambascia, a ferite recenti e fresche curare, a rotture di capo, a vizio d’occhi”.Come abbiamo visto, quest’umile fiorellino è un ottimo diuretico ed anche un buon sedativo. Ildegarda di Bingen, la badessa benedettina del XII secolo, lo consigliava come rimedio contro la malinconia e l’insonnia. I fiori essiccati, oltre a fornire un the aromatico, servono a profumare la birra ed a migliorare il bouquet dei vini; i petali dei fiori, freschissimi, possono arricchire le insalate; canditi, sono dei dolci deliziosi. Una vecchia leggenda popolare racconta che dal Paradiso San Pietro gettò le sue chiavi, perché il Signore ne aveva voluto un altro paio; nel punto in cui esse caddero spuntò la Primula, e secondo la tradizione questo fiorellino assomiglierebbe a quel mazzo di chiavi.Si narra anche che questo fiore celi un gran segreto, che tuttora incuriosisce i romantici: chi riesce a toccare la roccia delle fate con un mazzetto di Primule, vedrà aprirsi la strada che lo condurrà al loro regno. Però questo rito magico deve esser fatto con un numero ben preciso di Primule: chi sbagliasse, avrebbe un destino infausto. Ma quante devono essere le Primule del mazzetto? Nessuno lo sa!






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