L’Afghanistan sembra risolvere il problema della violenza sulle donne legalizzando lo stupro da parte del marito sulla propria moglie, annientando qualsiasi diritto umano della donna in quanto persona, negandole anche la difesa o il rifiuto a far sesso.
Secondo la stessa legge, firmata dal presidente Karzai ma non ancora in atto, le donne afghane non potranno più andare dal dottore, lavorare o uscire senza il consenso del marito, nè tantomeno crescere ed educare i propri figli, che passano sotto la tutela degli uomini della famiglia, quali il padre ed il nonno. Ciò sarebbe emerso dal meeting avvenuto ieri tra il presidente afghano Karzai e Hillary Clinton.
Dalla conferenza sui cambiamenti climatici in corso a Bonn, che vede riuniti capi e rappresentanti di stato, sebbene molti siano consapevoli della libertà di un paese di scrivere le proprie leggi, aspettano una dichiarazione o un commento di Karzai rispetto alla questione, mentre nelle loro case, forse, le donne afghane rimpiangono i Talebani.
Le donne afgane sono nascoste sotto un velo lungo fino ai piedi – il burqa – e rinchiuse in case dalle finestre oscurate da vernice nera perché non possano essere viste: è fatto loro divieto assoluto di lavorare, di ricevere istruzione, di praticare sport o di assistere a feste e spettacoli, di mostrarsi in pubblico se non accompagnate da un parente stretto. A nessuna afgana è permesso di usare veli di colori sgargianti o di indossare scarpe con tacco (sia perché verrebbero notate sia perché produrrebbero suoni camminando); una donna afgana non può ridere, può parlare solo sussurrando; non può laccarsi le unghie, entrare in un bagno pubblico, lavare i propri indumenti al fiume o farsi confezionare un vestito, perché un sarto non può cucire stoffe per donne. Nel corso del XX secolo, dagli anni Sessanta in poi, alcune pratiche religiose di “purificazione”, che prevedono oscene mutilazioni o innaturali suture agli organi genitali femminili, vengono eseguite su tutte le bambine prima della loro adolescenza. Queste usanze, che possono sembrare simili a riti tribali, causano altissime percentuali di mortalità infantile per gravi infezioni post-operatorie. Queste infezioni sono difficilmente curabili, vista la mancanza di medici, di ospedali (a Kabul, su 60 ospedali prima dell’avvento dei Talebani al potere, si contano oggi solo due ospedali aperti alle donne) e di antibiotici.
Lo stato di grave violazione dei diritti umani delle donne si è acuito dal 1996, anno in cui i Talebani - studenti delle scuole coraniche pakistane sorretti e armati, oltre che dal Pakistan, dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti - hanno preso definitivamente il potere in Afghanistan. La loro interpretazione della legge del Corano, la Shar’ia, prevede la pubblica lapidazione fino alla morte delle donne che non si attengono ai rigidissimi precetti di separazione dal resto della società civile. Di solito la lapidazione è praticata in luoghi pubblici, preferibilmente negli stadi affollati da uomini e soldati, per essere di monito a tutti.
Fonti
La Repubblica.it
Focus
Foto ricavate dal web