domenica, gennaio 10, 2010


"L'essere e il nulla" di Jean-Paul Sartre



Il fenomeno d'essere è un appello all'essere; esso esige, in quanto fenomeno, un fondamento che sia transfenomenico. Il fenomeno d'essere esige la transfenomenicità dell'essere.



Husserl ha posto in chiaro come la coscienza sia sempre coscienza di qualcosa. Ogni coscienza è posizionale in quanto sempre essa si trascende per raggiungere un oggetto, esaurendosi in questa posizione stessa: quanto vi è di intenzionale nella mia coscienza attuale è diretto verso il fuori, verso il tavolo. Tuttavia la condizione necessaria e sufficiente perché una coscienza conoscente sia conoscenza del suo oggetto, è che essa sia coscienza di se medesima come conoscente questo oggetto. Si tratta di una condizione necessaria, perché se la mia coscienza non fosse cosciente d'essere coscienza del tavolo, sarebbe coscienza del tavolo senza esser cosciente di esserlo, ossia sarebbe una coscienza ignorante se stessa, una coscienza incosciente: il che è assurdo. Che cos'è questa coscienza di coscienza? La coscienza di sé non è sdoppiabile (in coscienza conoscente e coscienza conosciuta)...; bisogna concepirla come rapporto immediato e non cogitativo di sé a sé... In altre parole ogni coscienza posizionale di un oggetto è nello stesso tempo coscienza non posizionale di se stessa.



L'essere è sé. Ciò significa che non è né attività né passività. Non si può tuttavia dirlo "immanente a se stesso", perché l'immanenza è sempre un rapporto a se stesso. Ma l'essere non è rapporto a se stesso, è invece se stesso. Riassumeremo tutto questo dicendo che l'essere è in sé. Che l'essere sia in sé significa che esso non rinvia a sé, come fa la coscienza di sé: questo sé esso lo è. In realtà, l'essere è opaco a se stesso e lo è perché è pieno di se stesso. È ciò che diremo meglio affermando che l'essere è ciò che è. L'essere è, l'essere è in sé, l'essere è ciò che è. Ecco i tre caratteri che l'esame provvisorio del fenomeno d'essere ci permette di attribuire all'essere del fenomeno.

Nell'essere cosi concepito non sussiste la minima dualità, è ciò che esprimiamo dicendo che la densità d'essere dell'in-sé è infinita. Esso è il pieno L'in-sé è pieno di se stesso e non si potrebbe immaginare una pienezza piú totale, una adeguazione piú perfetta di contenente e contenuto nell'essere non sussiste il minimo vuoto, la minima incrinatura, attraverso cui possa insinuarsi il nulla.

La presenza a sé sta ad indicare che una impalpabile fessura si è insinuata nell'essere. Se è presente a sé significa che non è piú totalmente sé. La presenza è una degradazione immediata della coincidenza, perché suppone la separazione. Ma se chiediamo ora: che cosa separa il soggetto da se stesso? dobbiamo rispondere: nulla.

L'essere della coscienza, in quanto coscienza, è tale da esistere a distanza da sé come presenza a sé; questa distanza nulla che l'essere porta nel suo essere, è il nulla. Ne viene che affinché esista un sé, occorre che l'unità di questo essere comporti il suo proprio nulla come nullificazione dell'identico. Il per-sé è l'essere che si determina esso stesso ad esistere come tale da non poter coincidere con se stesso. Cosí il nulla è questo buco d'essere, questa caduta dell'in-sé in quel sé in virtú di cui si costituisce il per-sé. Il nulla è la messa in questione dell'essere da parte dell'essere, cioè proprio la coscienza o per-sé

Il nulla, essendo nulla d'essere, non può venire alla luce che in virtú dell'essere stesso. E viene infatti all'essere ad opera d'un essere singolare, l'essere dell'uomo, l'Esserci. La realtà umana, l'Esserci, è l'essere in quanto, nel suo essere e per il suo essere, è il fondamento unico del nulla nel seno dell'essere.

Il per-sé è l'in-sé perdentesi come in-sé per fondarsi come coscienza. La coscienza trae dunque da se stessa il suo esser coscienza e non può rinviare che a se stessa, in quanto è la propria nullificazione; ma ciò che si annulla nella coscienza, senza tuttavia potere esser detto fondamento della coscienza, è l'essere in sé contingente. L'in-sé non può fondare nulla. Se fonda se stesso lo può soltanto dandosi la modificazione del per-sé. E' fondamento di se stesso in quanto non è già piú in sé: qui incontriamo l'origine di ogni fondamento. Se l'essere in sé non può essere né il proprio fondamento né quello di alcun altro essere, il fondamento in generale viene all'essere in virtú del per-sé. Il per-sé non soltanto fonda se stesso come in sé nullificato, ma con lui fa la sua prima apparizione il fondamento come tale.

È lo stesso per-sé che determina costantemente se stesso a non essere l'in-sé. Il che significa che il per-sé non può procedere a fondare se stesso che a partire dall'in-sé e contro l'in-sé. La nullificazione... rappresenta il legame originale fra l'essere del per-sé e l'essere dell'in-sé.

Il per-sé, come fondamento di sé, coincide col sorgere della negazione. Esso si fonda in quanto nega di sé un certo essere o una certa maniera d'essere. Sappiamo che ciò che esso nega o nullifica è l'essere in sé. Ma non un qualunque ed astratto essere in-sé: la realtà umana è in primo luogo il suo proprio nulla. Ciò che essa, in quanto per-sé, nega o nullifica di sé, non può essere che sé. E poiché essa è costituita nel suo senso da questa nullificazione, ne viene che è il sé come "essere in-sé mancato" ciò che costituisce il senso della realtà umana.

Ci è stato possibile comprendere come la realtà umana sia il proprio nulla. Essere, per il per-sé, è annullare l'in-sé che esso è. Cosi stando le cose la libertà non può esser null'altro che questa nullificazione. È in virtú sua che il per-sé sfugge al suo essere nel senso di essenza, è in virtú sua che esso è sempre qualcos'altro da ciò che si può dire di lui. Dire che il per-sé ha da essere ciò che è, dire che esso è ciò che non è nel mentre non è ciò che è, dire che in lui l'esistenza precede e condiziona l'essenza... equivale a dire che l'uomo è libero.

Io sono per sempre condannato ad esistere al di là della mia essenza, al di là del moventi e del motivi della mia azione, sono condannato ad essere libero. E ciò significa che non è possibile trovare alla libertà altri limiti oltre se stessa, o, se si preferisce, che non siamo liberi di cessare di essere liberi.

Nella misura in cui il per-sé cerca di incorporarsi l'in-sé come suo autentico modo d'essere, esso cerca di mascherare a se stesso la propria libertà. Il rifiuto della libertà non può quindi attuarsi che come tentativo di concepirsi come essere-in-sé.

L'Esserci umano è libero proprio perché è a se stesso insufficiente perché è costantemente sottratto a se stesso. L'uomo è libero perché non è se stesso ma presenza a se stesso. Un essere che fosse ciò che non è non potrebbe esser libero. Abbiamo visto infatti come per la realtà umana esserci significa scegliersi... Essa è totalmente abbandonata (e senza rimedio alcuno) alla ineliminabile necessità di farsi essere anche nel più piccolo particolare. E perciò la libertà non è un essere, ma l'essere dell'uomo.

L'angoscia rivela alla coscienza la nostra libertà e testimonia la costante modificabilità del progetto iniziale. Nell'angoscia non ci limitiamo a renderci conto del fatto che i possibili da noi progettati sono costantemente rosi dalla nostra libertà in attuazione, ma comprendiamo inoltre la scelta, ossia noi stessi, come ingiustificabili; il che vuol dire che ci rendiamo conto che la scelta non trae origine da alcuna realtà anteriore, ed è anzi, tale da dover fungere da fondamento dell'insieme dei significati che costituiscono la realtà. In tal modo siamo costantemente impegnati nella scelta di noi stessi e costantemente consapevoli di poter bruscamente rovesciare la scelta ed invertire la rotta. Siamo pertanto sotto la costante minaccia della nullificazione della nostra scelta attuale, sotto la costante minaccia di divenire altri da ciò che siamo. Proprio per il fatto di essere assoluta, la nostra scelta è fragile.

La conseguenza fondamentale che deriva... è questa: essendo l'uomo condannato ad esser libero, egli porta sulle sue spalle il peso del mondo intero, l'uomo è responsabile del mondo e di se stesso quanto al modo di essere. Usiamo qui il termine "responsabilità" nel suo significato corrente di "coscienza (d')esser l'autore incontestabile di un evento o d'un oggetto". In questo senso la responsabilità del per-sé è opprimente; egli è infatti colui per cui accade che "ci sia" un mondo. E poiché è anche colui che "fa essere se stesso", qualunque sia la situazione in cui il per-sé si trovi deve assumere totalmente questa situazione col suo coefficiente di avversità. Questa responsabilità assoluta non è però accettazione; è la semplice rivendicazione logica delle implicanze della nostra libertà.



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1 Comments:

Blogger Francesco Panizzo said...

ciao.. hai trascritto o riassunto questo di Sartre?? Mi interesserebbe avere indicazioni più precise per una citazione su tesi.. grazie a presto

10:42 AM  

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