domenica, gennaio 10, 2010


Il tuo Cristo è ebreo e la tua democrazia è greca.
La tua scrittura è latina e i tuoi numeri sono arabi.
La tua auto è giapponese e il tuo caffè è brasiliano.
Il tuo orologio è svizzero e il tuo walkman è coreano.
La tua pizza è italiana e la tua camicia hawaiana.
Le tue vacanze sono turche, tunisine o marocchine.

Cittadino del mondo,
non rimproverare al tuo vicino di essere straniero.

(La versione originale del manifesto tedesco a fine post in grassetto))


Zigmunt Bauman
Intervista sull'identità,
a cura di Benedetto Vecchi
RECENSIONE di Marco Aime
Il sociologo Bauman analizza la «modernità liquida» in cui vengono a mancare le antiche certezze di Stato-nazione, famiglia, lavoro e l’individuo non ha più garanzie di appartenenzaSECONDO l'antica usanza dell'Università Carlo di Praga, durante la cerimonia di conferimento delle lauree honoris causa viene suonato l'inno nazionale del paese di appartenenza del “neolaureato”. Quando toccò a me ricevere quest'onore, mi chiesero di scegliere tra l'inno britannico e l'inno polacco… Beh, non trovai facile dare una risposta». Inizia così il libro intervista di Zigmunt Bauman, curato da Benedetto Vecchi, su un tema scottante, attuale fin troppo abusato come quello dell'identità. Già, lui è nato in Polonia, ma dovette andarsene via e fu la Gran Bretagna a offrirgli una cattedra e a ospitarlo. Quel è allora il tuo paese: quello dove sei nato o quello dove vivi? E basta un paese per provare un senso di appartenenza? Domande che si fanno tanto più complesse quanto più Bauman ci accompagna nel cammino attraverso quella che chiama "modernità liquida", dove vengono sempre di più amancare quelle certezze che davano le strutture solide come lo Statonazione, le istituzioni, la famiglia, il lavoro. In una società sempre più segnata dalla deregulation e dalla flessibilità l'individuo finisce per avere tutto il peso sulle sue spalle, vengono a mancare forme di solidarietà e punti di riferimento comunitari che in passato aiutavano a condividere il fardello. Inoltre da media ed esperti vari arriva sempre di più un incitamento generale al disimpegno, a non pensare a contratti solidi, anzi a vedere come negativa ogni forma di legame che si proietti poco più avanti del quotidiano. Ecco allora nascere quelle che il sociologo polacco chiama comunità guardaroba, che funzionano a tempo, stanno assieme fino a quando qualcuno decide di riprendersi il suo abito e andarsene. In un mondo di modernità liquida i piani a lunga scadenza diventano poco attraenti. La strategia del carpe diem diventa così la risposta più immediata a un mondo svuotato di valori che pretende di essere duraturo perché the show must go on, comunque e ovunque. «Da te la "società" vuole soltanto che non lasci il tavolo da gioco e disponga ancora di fiches sufficienti per continuare a giocare» dice amaro Bauman. Ecco allora che trovare un' identità, un'appartenenza diventa sempre più difficile e altrettanto più necessario. La forte tensione tra la presunta adesione a comunità sempre più virtuali, dove le rubriche dei cellulari vorrebbero sostituire il giro degli amici e il senso di solidarietà dell'individuo ridotto a consumatore e oggetto di consumo acuisce il bisogno di definire chi siamo. Così facendo smaschera la finzione che l'identità sia un dato anagrafico e "naturale", quando invece è sempre un processo di costruzione, lungo, elaborato e mai finito. «L'identità è un grappolo di problemi piuttosto che una questione unica - dice Bauman e ci si rivelano unicamente come qualcosa che va inventato piuttosto che scoperto; come il traguardo di uno sforzo, un “obiettivo”, qualcosa che è ancora necessario costruire da zero o selezionare tra offerte alternative, qualcosa per cui è necessario lottare e che va poi protetto attraverso altre lotte ancora». Alcuni, per indicarne la frammentarietà e l'articolazione, parlano di identità puzzle, ma Bauman non gradisce il paragone, perché, dice, un puzzle parte da una soluzione definita. Hai un determinato numero di pezzi e un'immagine conosciuta da comporre. Nel costruire un'identità, invece, gli individui non sanno quali e quanti pezzi hanno a neppure dove possono arrivare, quale figura ne uscirà. Questa realtà sempre più mobile e fluida finisce per trasmettere incertezze e paure: «Sembra di vivere in un universo di Escher, dove nessuno, in nessun punto, è in grado di distinguere una strada che porta in cima da una china discendente… » Però ci si sforza e ci si arrabatta, quasi sempre sotto la spinta di stati o di élites di potere che spingono per crearci nuove forme di appartenenza spesso camuffate da identità etniche, nazionali o religiose. Così, scrive Bauman, gli scozzesi hanno riscoperto la loro identità nazionale, con tanto di fervore patriottico, quando il governo di Londra ha cominciato a intascarsi i profitti della vendita di licenze per l'estrazione di petrolio al largo delle loro coste scozzesi, mentre ai primi segnali di sgretolamento dello stato jugoslavo gli efficienti e benestanti sloveni si sono affrettati a staccarsi dalle province del sud meno ricche. Le identità sono fluttuanti, ma c'è sempre qualcuno che le usa come pietre per scagliarle contro gli altri, per difendere i propri interessi. Se è vero, come afferma Noam Chomsky, che una lingua è un dialetto con un esercito alle spalle, anche l'identità, nata come finzione aveva bisogno di un gran dispiegamento di coercizione e convincimento per irrobustirsi e coagularsi in una realtà; e nella storia della nascita e della maturazione dello stato moderno questi due elementi abbondano. Creare identità significa anche negarle agli altri, agli esclusi. Perché a differenza di quanto affermava Marx, che ipotizzava lo sfruttamento come estrema polarizzazione sociale dell'ineguaglianza, oggi è l'esclusione la forma più accentuata di dislivello di classe. Al punto che Bauman parla di "sottoclasse" per indicare quella zona dove finiscono (o, più correttamente, vengono spinti) tutti coloro cui viene negato il diritto di rivendicare un'identità distinta dalla classificazione attribuita e imposta. La sottoclasse significa assenza di identità, anonimato. Significa essere straniero e basta. Allora suonano quanto mai sarcastiche le parole di un manifesto tedesco degli anni '90 citato nel libro: «Il tuo Cristo è ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua pizza è italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero».

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1 Comments:

Blogger Michael Grimaldi said...

Giusto, tutto giusto.

10:32 AM  

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