lunedì, aprile 19, 2010


giovedì, aprile 15, 2010


martedì, febbraio 09, 2010


Quadro di " Antonia Pozzi"

I miei pensieri somigliano stasera
a quest'acqua bambina
che corre a passettini d'argento
dietro tutte le barche.
L'ombra del promontorio,
sul bianco mare
-bassa nota rauca
in questa sviolinata crepuscolare-
ha il ricordo abbrunato di un rimorso;
ma, sulla punta,
-nitido come uno squillo battagliero-
l'ansito del faro palpita,
anelando al largo.

http://www.antoniapozzi.it/

domenica, gennaio 10, 2010


Il tuo Cristo è ebreo e la tua democrazia è greca.
La tua scrittura è latina e i tuoi numeri sono arabi.
La tua auto è giapponese e il tuo caffè è brasiliano.
Il tuo orologio è svizzero e il tuo walkman è coreano.
La tua pizza è italiana e la tua camicia hawaiana.
Le tue vacanze sono turche, tunisine o marocchine.

Cittadino del mondo,
non rimproverare al tuo vicino di essere straniero.

(La versione originale del manifesto tedesco a fine post in grassetto))


Zigmunt Bauman
Intervista sull'identità,
a cura di Benedetto Vecchi
RECENSIONE di Marco Aime
Il sociologo Bauman analizza la «modernità liquida» in cui vengono a mancare le antiche certezze di Stato-nazione, famiglia, lavoro e l’individuo non ha più garanzie di appartenenzaSECONDO l'antica usanza dell'Università Carlo di Praga, durante la cerimonia di conferimento delle lauree honoris causa viene suonato l'inno nazionale del paese di appartenenza del “neolaureato”. Quando toccò a me ricevere quest'onore, mi chiesero di scegliere tra l'inno britannico e l'inno polacco… Beh, non trovai facile dare una risposta». Inizia così il libro intervista di Zigmunt Bauman, curato da Benedetto Vecchi, su un tema scottante, attuale fin troppo abusato come quello dell'identità. Già, lui è nato in Polonia, ma dovette andarsene via e fu la Gran Bretagna a offrirgli una cattedra e a ospitarlo. Quel è allora il tuo paese: quello dove sei nato o quello dove vivi? E basta un paese per provare un senso di appartenenza? Domande che si fanno tanto più complesse quanto più Bauman ci accompagna nel cammino attraverso quella che chiama "modernità liquida", dove vengono sempre di più amancare quelle certezze che davano le strutture solide come lo Statonazione, le istituzioni, la famiglia, il lavoro. In una società sempre più segnata dalla deregulation e dalla flessibilità l'individuo finisce per avere tutto il peso sulle sue spalle, vengono a mancare forme di solidarietà e punti di riferimento comunitari che in passato aiutavano a condividere il fardello. Inoltre da media ed esperti vari arriva sempre di più un incitamento generale al disimpegno, a non pensare a contratti solidi, anzi a vedere come negativa ogni forma di legame che si proietti poco più avanti del quotidiano. Ecco allora nascere quelle che il sociologo polacco chiama comunità guardaroba, che funzionano a tempo, stanno assieme fino a quando qualcuno decide di riprendersi il suo abito e andarsene. In un mondo di modernità liquida i piani a lunga scadenza diventano poco attraenti. La strategia del carpe diem diventa così la risposta più immediata a un mondo svuotato di valori che pretende di essere duraturo perché the show must go on, comunque e ovunque. «Da te la "società" vuole soltanto che non lasci il tavolo da gioco e disponga ancora di fiches sufficienti per continuare a giocare» dice amaro Bauman. Ecco allora che trovare un' identità, un'appartenenza diventa sempre più difficile e altrettanto più necessario. La forte tensione tra la presunta adesione a comunità sempre più virtuali, dove le rubriche dei cellulari vorrebbero sostituire il giro degli amici e il senso di solidarietà dell'individuo ridotto a consumatore e oggetto di consumo acuisce il bisogno di definire chi siamo. Così facendo smaschera la finzione che l'identità sia un dato anagrafico e "naturale", quando invece è sempre un processo di costruzione, lungo, elaborato e mai finito. «L'identità è un grappolo di problemi piuttosto che una questione unica - dice Bauman e ci si rivelano unicamente come qualcosa che va inventato piuttosto che scoperto; come il traguardo di uno sforzo, un “obiettivo”, qualcosa che è ancora necessario costruire da zero o selezionare tra offerte alternative, qualcosa per cui è necessario lottare e che va poi protetto attraverso altre lotte ancora». Alcuni, per indicarne la frammentarietà e l'articolazione, parlano di identità puzzle, ma Bauman non gradisce il paragone, perché, dice, un puzzle parte da una soluzione definita. Hai un determinato numero di pezzi e un'immagine conosciuta da comporre. Nel costruire un'identità, invece, gli individui non sanno quali e quanti pezzi hanno a neppure dove possono arrivare, quale figura ne uscirà. Questa realtà sempre più mobile e fluida finisce per trasmettere incertezze e paure: «Sembra di vivere in un universo di Escher, dove nessuno, in nessun punto, è in grado di distinguere una strada che porta in cima da una china discendente… » Però ci si sforza e ci si arrabatta, quasi sempre sotto la spinta di stati o di élites di potere che spingono per crearci nuove forme di appartenenza spesso camuffate da identità etniche, nazionali o religiose. Così, scrive Bauman, gli scozzesi hanno riscoperto la loro identità nazionale, con tanto di fervore patriottico, quando il governo di Londra ha cominciato a intascarsi i profitti della vendita di licenze per l'estrazione di petrolio al largo delle loro coste scozzesi, mentre ai primi segnali di sgretolamento dello stato jugoslavo gli efficienti e benestanti sloveni si sono affrettati a staccarsi dalle province del sud meno ricche. Le identità sono fluttuanti, ma c'è sempre qualcuno che le usa come pietre per scagliarle contro gli altri, per difendere i propri interessi. Se è vero, come afferma Noam Chomsky, che una lingua è un dialetto con un esercito alle spalle, anche l'identità, nata come finzione aveva bisogno di un gran dispiegamento di coercizione e convincimento per irrobustirsi e coagularsi in una realtà; e nella storia della nascita e della maturazione dello stato moderno questi due elementi abbondano. Creare identità significa anche negarle agli altri, agli esclusi. Perché a differenza di quanto affermava Marx, che ipotizzava lo sfruttamento come estrema polarizzazione sociale dell'ineguaglianza, oggi è l'esclusione la forma più accentuata di dislivello di classe. Al punto che Bauman parla di "sottoclasse" per indicare quella zona dove finiscono (o, più correttamente, vengono spinti) tutti coloro cui viene negato il diritto di rivendicare un'identità distinta dalla classificazione attribuita e imposta. La sottoclasse significa assenza di identità, anonimato. Significa essere straniero e basta. Allora suonano quanto mai sarcastiche le parole di un manifesto tedesco degli anni '90 citato nel libro: «Il tuo Cristo è ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua pizza è italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero».

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"L'essere e il nulla" di Jean-Paul Sartre



Il fenomeno d'essere è un appello all'essere; esso esige, in quanto fenomeno, un fondamento che sia transfenomenico. Il fenomeno d'essere esige la transfenomenicità dell'essere.



Husserl ha posto in chiaro come la coscienza sia sempre coscienza di qualcosa. Ogni coscienza è posizionale in quanto sempre essa si trascende per raggiungere un oggetto, esaurendosi in questa posizione stessa: quanto vi è di intenzionale nella mia coscienza attuale è diretto verso il fuori, verso il tavolo. Tuttavia la condizione necessaria e sufficiente perché una coscienza conoscente sia conoscenza del suo oggetto, è che essa sia coscienza di se medesima come conoscente questo oggetto. Si tratta di una condizione necessaria, perché se la mia coscienza non fosse cosciente d'essere coscienza del tavolo, sarebbe coscienza del tavolo senza esser cosciente di esserlo, ossia sarebbe una coscienza ignorante se stessa, una coscienza incosciente: il che è assurdo. Che cos'è questa coscienza di coscienza? La coscienza di sé non è sdoppiabile (in coscienza conoscente e coscienza conosciuta)...; bisogna concepirla come rapporto immediato e non cogitativo di sé a sé... In altre parole ogni coscienza posizionale di un oggetto è nello stesso tempo coscienza non posizionale di se stessa.



L'essere è sé. Ciò significa che non è né attività né passività. Non si può tuttavia dirlo "immanente a se stesso", perché l'immanenza è sempre un rapporto a se stesso. Ma l'essere non è rapporto a se stesso, è invece se stesso. Riassumeremo tutto questo dicendo che l'essere è in sé. Che l'essere sia in sé significa che esso non rinvia a sé, come fa la coscienza di sé: questo sé esso lo è. In realtà, l'essere è opaco a se stesso e lo è perché è pieno di se stesso. È ciò che diremo meglio affermando che l'essere è ciò che è. L'essere è, l'essere è in sé, l'essere è ciò che è. Ecco i tre caratteri che l'esame provvisorio del fenomeno d'essere ci permette di attribuire all'essere del fenomeno.

Nell'essere cosi concepito non sussiste la minima dualità, è ciò che esprimiamo dicendo che la densità d'essere dell'in-sé è infinita. Esso è il pieno L'in-sé è pieno di se stesso e non si potrebbe immaginare una pienezza piú totale, una adeguazione piú perfetta di contenente e contenuto nell'essere non sussiste il minimo vuoto, la minima incrinatura, attraverso cui possa insinuarsi il nulla.

La presenza a sé sta ad indicare che una impalpabile fessura si è insinuata nell'essere. Se è presente a sé significa che non è piú totalmente sé. La presenza è una degradazione immediata della coincidenza, perché suppone la separazione. Ma se chiediamo ora: che cosa separa il soggetto da se stesso? dobbiamo rispondere: nulla.

L'essere della coscienza, in quanto coscienza, è tale da esistere a distanza da sé come presenza a sé; questa distanza nulla che l'essere porta nel suo essere, è il nulla. Ne viene che affinché esista un sé, occorre che l'unità di questo essere comporti il suo proprio nulla come nullificazione dell'identico. Il per-sé è l'essere che si determina esso stesso ad esistere come tale da non poter coincidere con se stesso. Cosí il nulla è questo buco d'essere, questa caduta dell'in-sé in quel sé in virtú di cui si costituisce il per-sé. Il nulla è la messa in questione dell'essere da parte dell'essere, cioè proprio la coscienza o per-sé

Il nulla, essendo nulla d'essere, non può venire alla luce che in virtú dell'essere stesso. E viene infatti all'essere ad opera d'un essere singolare, l'essere dell'uomo, l'Esserci. La realtà umana, l'Esserci, è l'essere in quanto, nel suo essere e per il suo essere, è il fondamento unico del nulla nel seno dell'essere.

Il per-sé è l'in-sé perdentesi come in-sé per fondarsi come coscienza. La coscienza trae dunque da se stessa il suo esser coscienza e non può rinviare che a se stessa, in quanto è la propria nullificazione; ma ciò che si annulla nella coscienza, senza tuttavia potere esser detto fondamento della coscienza, è l'essere in sé contingente. L'in-sé non può fondare nulla. Se fonda se stesso lo può soltanto dandosi la modificazione del per-sé. E' fondamento di se stesso in quanto non è già piú in sé: qui incontriamo l'origine di ogni fondamento. Se l'essere in sé non può essere né il proprio fondamento né quello di alcun altro essere, il fondamento in generale viene all'essere in virtú del per-sé. Il per-sé non soltanto fonda se stesso come in sé nullificato, ma con lui fa la sua prima apparizione il fondamento come tale.

È lo stesso per-sé che determina costantemente se stesso a non essere l'in-sé. Il che significa che il per-sé non può procedere a fondare se stesso che a partire dall'in-sé e contro l'in-sé. La nullificazione... rappresenta il legame originale fra l'essere del per-sé e l'essere dell'in-sé.

Il per-sé, come fondamento di sé, coincide col sorgere della negazione. Esso si fonda in quanto nega di sé un certo essere o una certa maniera d'essere. Sappiamo che ciò che esso nega o nullifica è l'essere in sé. Ma non un qualunque ed astratto essere in-sé: la realtà umana è in primo luogo il suo proprio nulla. Ciò che essa, in quanto per-sé, nega o nullifica di sé, non può essere che sé. E poiché essa è costituita nel suo senso da questa nullificazione, ne viene che è il sé come "essere in-sé mancato" ciò che costituisce il senso della realtà umana.

Ci è stato possibile comprendere come la realtà umana sia il proprio nulla. Essere, per il per-sé, è annullare l'in-sé che esso è. Cosi stando le cose la libertà non può esser null'altro che questa nullificazione. È in virtú sua che il per-sé sfugge al suo essere nel senso di essenza, è in virtú sua che esso è sempre qualcos'altro da ciò che si può dire di lui. Dire che il per-sé ha da essere ciò che è, dire che esso è ciò che non è nel mentre non è ciò che è, dire che in lui l'esistenza precede e condiziona l'essenza... equivale a dire che l'uomo è libero.

Io sono per sempre condannato ad esistere al di là della mia essenza, al di là del moventi e del motivi della mia azione, sono condannato ad essere libero. E ciò significa che non è possibile trovare alla libertà altri limiti oltre se stessa, o, se si preferisce, che non siamo liberi di cessare di essere liberi.

Nella misura in cui il per-sé cerca di incorporarsi l'in-sé come suo autentico modo d'essere, esso cerca di mascherare a se stesso la propria libertà. Il rifiuto della libertà non può quindi attuarsi che come tentativo di concepirsi come essere-in-sé.

L'Esserci umano è libero proprio perché è a se stesso insufficiente perché è costantemente sottratto a se stesso. L'uomo è libero perché non è se stesso ma presenza a se stesso. Un essere che fosse ciò che non è non potrebbe esser libero. Abbiamo visto infatti come per la realtà umana esserci significa scegliersi... Essa è totalmente abbandonata (e senza rimedio alcuno) alla ineliminabile necessità di farsi essere anche nel più piccolo particolare. E perciò la libertà non è un essere, ma l'essere dell'uomo.

L'angoscia rivela alla coscienza la nostra libertà e testimonia la costante modificabilità del progetto iniziale. Nell'angoscia non ci limitiamo a renderci conto del fatto che i possibili da noi progettati sono costantemente rosi dalla nostra libertà in attuazione, ma comprendiamo inoltre la scelta, ossia noi stessi, come ingiustificabili; il che vuol dire che ci rendiamo conto che la scelta non trae origine da alcuna realtà anteriore, ed è anzi, tale da dover fungere da fondamento dell'insieme dei significati che costituiscono la realtà. In tal modo siamo costantemente impegnati nella scelta di noi stessi e costantemente consapevoli di poter bruscamente rovesciare la scelta ed invertire la rotta. Siamo pertanto sotto la costante minaccia della nullificazione della nostra scelta attuale, sotto la costante minaccia di divenire altri da ciò che siamo. Proprio per il fatto di essere assoluta, la nostra scelta è fragile.

La conseguenza fondamentale che deriva... è questa: essendo l'uomo condannato ad esser libero, egli porta sulle sue spalle il peso del mondo intero, l'uomo è responsabile del mondo e di se stesso quanto al modo di essere. Usiamo qui il termine "responsabilità" nel suo significato corrente di "coscienza (d')esser l'autore incontestabile di un evento o d'un oggetto". In questo senso la responsabilità del per-sé è opprimente; egli è infatti colui per cui accade che "ci sia" un mondo. E poiché è anche colui che "fa essere se stesso", qualunque sia la situazione in cui il per-sé si trovi deve assumere totalmente questa situazione col suo coefficiente di avversità. Questa responsabilità assoluta non è però accettazione; è la semplice rivendicazione logica delle implicanze della nostra libertà.



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"Tu ne dis jamais rien" Léo Ferré


TU NON DICI MAI NIENTE

Io vedo il mondo come qualcosa d'incredibile

L'incredibile è cio che non si puo vedere

Fiori nelle matita Debussy sulla sabbia

In una sconosciuta località di mare

Ragazze dentro il fero in fondo all'abitudine

Minatori che scavano nella loro apatià

Reggiseni per gatti e degli industriali

Che lavorano per gli operai della Fiat

Io vivo altrove dentro la quarta dimensione

Dove è messa in fumetti la relatività

Vieni da me che sono la quercia ed il domani

Vieni da me c'è un fuoco che ti riscalderà

Io volo per la pelle in cieli di miseria

Io sono un vecchio Boeing dell'anno ottantanove

Parto il fiore tra i denti verso l'ultima guerra

Con macchine da scrivere dalle uniformi nuove

Io vedo pianoforti su ventri di ragazze

Ed in occhi di bimba la stereofonia

Uno scimpanzè di ghiaccio che canta la mia musica

Dolcemente con me e tu non parli mai

Tu non dici mai niente tu non dici mai niente

Qualche volta tu piangi come piangon le bestie

Che non sanno il perchè e non dicono niente

Come te l'occhio altrove mi fanno le feste

Io vedo moltitudini nel tuo ventre deserto

Io sono l'indomani il mio domani sei tu

Io vedo denudarsi fidanzati perduti

Alla tua voce lieve agni notte di più

Tiepidi odori sopra marciapiedi di sogno

Nel mio letto d'asfalte dentro a questa città

Sopra di me lo scorrere di ragazze e di spugne

Che trasudano il succo di questa folle età

Io vivo altrove dentro la dimensione ics

E osservo il mondo da una feritoia

Io sono il sempre il mai sono la ics

Della formula dell'amore e della noia

Io vedo tramvai blu su rotaie di pianto

Paraventi cinesi sotto il vento del nord

Oggetti senza oggetto e finestre d'artisti

Da cui escono il sole il genio e la morte

Aspetta vedo ancora una stella smaritta

Che ti viene a trovare e ti parla di me

La conosco da tempo vive alla porta accanto

Ma la sua luce è illusaria come te

E non mi dici niente tu non dici mai niente

Ma splendi nel mio cuore come splende una stella

Coi suoi fuochi perduti in sentieri lontani

Tu non dici mai niente proprio come una stella


LEO FERRE'


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sabato, gennaio 09, 2010



"Il mio futuro" di Edith Irene Södergran


Il capriccio di un attimo

mi ha rubato il futuro,

messo insieme a casaccio.

Voglio rifabbricarmelo piu' bello,

come l'ho sempre pensato.

Ricostruirlo su terreno solido

(le mie intenzioni).

Risollevarlo su colonne altissime

(i miei ideali).

Riaprirvi il passaggio segreto

dell'anima mia.

Rialzargli la torre scoscesa

della mia solitudine.

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" L'Oceano Di Silenzio" di Franco Battiato







http://www.youtube.com/watch?v=f_cxtm3AmaE&feature=related


Un Oceano di Silenzio scorre lento senza centro né principio cosa avrei visto del mondo senza questa luce che illumina i miei pensieri neri. (Der Schmerz, der Stillstand des Lebens Lassen die Zeit zu lang erscheinen) Quanta pace trova l'anima dentro scorre lento il tempo di altre leggi di un'altra dimensione e scendo dentro un Oceano di Silenzio sempre in calma. (Und mir scheint fast Dass eine dunkle Erinnerung mir sagt Ich hatte in fernen Zeiten Dort oben oder in Wasser gelebt)


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" Alla sera" di Ugo Foscolo


Forse perché della fatal quïete

Tu sei l'imago a me sì cara vieni

O sera! E quando ti corteggian liete

Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquïete

Tenebre e lunghe all'universo meni

Sempre scendi invocata, e le secrete

Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme

che vanno al nulla eterno; e intanto fugge

questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco egli si strugge;

e mentre io guardo la tua pace, dorme

Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

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venerdì, gennaio 08, 2010

A proposito degli scontri di Rosarno
Rosarno ha una storia. Ed è una storia di lotte contadine. Che con le occupazioni delle terre del demanio fecero di questo poverissimo borgo una ridente cittadina nell'immediato dopoguerra. Quella storia è disegnata su un affresco sul muro della posta centrale, in piazza Valarioti. Un uomo e una donna con un neonato in braccio, seguiti da un gruppo di contadini, marciano a testa alta in mezzo a oliveti e aranceti. Due generazioni dopo, a sfruttare il lavoro nero dei braccianti stranieri, sono i figli di quegli stessi contadini.
Mi colpiscono le dichiarazioni di Maroni delle ultime ore, la sua richiesta di "tolleranza zero" contro i clandestini, come se il problema fosse solo quello.In Calabria, come in tutto il sud, vengono impiegati migliaia di extracomunitari, nella raccolta degli agrumi e degli ortaggi nelle serre. Lo fanno alla luce del sole, sotto gli occhi dei vigili urbani dei vari comuni, dei carabinieri, della polizia ecc...; e va tutto bene se lavorano come schiavi e tacciono, se reagiscono a delle violenze gratuite le nostre istituzioni non si chiedono chi ha perpetrato queste violenze ed ha causato la rivolta, no.....è più facile cacciare lo schiavo clandestino, sfruttato fino al giorno prima, piuttosto che combattere gli sfruttatori italiani ed appartenenti alla 'ndrangheta.
Posso condannare le violenze gratuite, ma permettetemi non riesco a condannare questo esercito di disperati senza diritti, ai quali si tenta di togliere anche la dignità di esseri umani.
P.S. L'affresco è una riproduzione del famoso quadro di Pellizza da Volpedo " Il Quarto Stato".

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"Non sono nulla" di Fernando Pessoa


Non sono nulla, non posso nulla,

non perseguo nulla.

Illuso, porto il mio essere con me.

Non so di comprendere,

né so se devo essere,

niente essendo, ciò che sarò.

A parte ciò, che è niente,

un vacuo vento del sud,

sotto il vasto azzurro cielo mi desta,

rabbrividendo nel verde.

Aver ragione, vincere, possedere l'amore

marcisce sul morto tronco dell'illusione.

Sognare è niente e non sapere è vano.

Dormi nell'ombra, incerto cuore.


***

Di sicuro c'è che io esisto, questo non posso negarlo, perché devo esistere per poterlo negare.

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Blaise Pascal
Che cos'è in fondo l'uomo nella natura? Un nulla rispetto all'infinito, un tutto rispetto al nulla; un qualcosa di mezzo tra il niente e il tutto. Infinitamente lontano dall'abbracciare gli estremi, la fine delle cose e il loro principio gli sono invincibilmente nascosti in un impenetrabile segreto, ed egli è ugualmente incapace di vedere il nulla da cui è stato tratto e l'infinito dal quale è inghiottito.

martedì, gennaio 05, 2010



Le poesie delle donne (Dacia Maraini n. Fiesole 13/11/1936)

Le poesie delle donne sono spesso piatte, ingenue, realistiche e ossessive”, mi dice un critico gentile dagli occhi a palla. “ Mancano di leggerezza, di fumo, di vanità, sono tutte d’un pezzo come dei tubi, non c’è garbo, scioltezza, estro; sono prive dell’intelligenza maliziosa dell’artificio, insomma non raggiungono quell’aria da pomeriggio limpido dopo la pioggia.” Forse è vero, gli dico. Ma tu non sai cosa vuol dire essere donna. Dovresti provare una volta per piacere anche se è proibito dal tuo sesso di pane e ferro. Ride, strabuzza gli occhi. “A me non importa se sia donna o meno. Voglio vedere i risultati poetici. C’è chi riesce a fare la ciambella con il buco. Se è donna o uomo cosa cambia?” Cambia, amico dagli occhi verdi, cambia; perché una donna non può fare finta di non essere donna. Ed essere donna significa conoscere la propria soggezione, significa vivere e respirare la degradazione e il disprezzo di sé che si può superare solo con fatiche dolorose e lagrime nere. E’ per questo che tante si rifugiano nella passività, nell’ordine costituito, perché hanno paura di quella fatica e di quelle lagrime che sono necessarie per riscattare la propria umanità perduta come un dente di latte, chissà quando, nel processo sibillino della crescita sociale. Una mattina un padre generoso ha legato il tuo dente al pomello della porta che poi ha spalancato con un calcio e addio dente di miele che ti faceva bambina e ancora inconsapevole del ruolo pacato e gelido che ti aspetta ora come un cappotto fiorato appeso nell’ingresso e se vai fuori devi indossarlo se no rischi di morire assiderata e pesta. Una donna che scrive poesie e sa di essere donna, non può che tenersi attaccata stretta ai contenuti perché la sofisticazione delle forme è una cosa che riguarda il potere e il potere che ha la donna è sempre un non-potere, una eredità scottante e mai del tutto sua. La sua voce sarà forse dura e terragna ma è la voce di una leonessa che è stata tenuta pecora per troppo tempo assennato. E’ una voce fiacca, grezza e mutilata che viene da lontano, da fuori della storia, dall’inferno degli sfruttati. Un inferno che non migliora la gente come si crede, ma la rende pigra, malata e nemica di se stessa."


Margherita Yourcenar




Donne che hanno dedicato la vita alla poesia.


Nel ‘500 abbiamo Gaspara Stampa, Veronica Gambara, Vittoria Colonna, per citarne alcune


Con il trascorrere del tempo si attenua la diffidenza verso le donne, consegnando alla storia nomi del calibro di Sibilla Aleramo, Anna Barkova, Elisabeth Bishop, Nadia Campana, Cristina Campo, Marina Cvetaeva, Antonia Pozzi, Sylvia Plath, Amelia Rosselli, Hilda DoolittleAngela, Figuera Aymerich, Leah Goldberg, Margherita Guidacci, Amy Lowell, Edna Millay e Marianna Moore, Catherine Mansfield,Cecilia Meireles, Elsa Morante, Anne Sexton, Edith Sitwell, Edith Södergran, Astrid Tol, Renée Vivien e Marguerite Yourcenar.