sabato, dicembre 12, 2009









Felice Santa Lucia...la notte più lunga che ci sia, o il giorno più corto che ci sia.








Lucia era una giovane siracusana di famiglia agiata che visse durante l’impero di Diocleziano. Il 13 Dicembre 304 subì il martirio per non aver voluto rinnegare la sua fede cristiana: di lì a poco fu proclamata Santa e divenne la Patrona di Siracusa.


La leggenda narra che durante le torture Lucia si sia strappata gli occhi: per questo viene spesso raffigurata con in mano un piatto su cui si trovano i suoi occhi ed è anche considerata la protettrice della vista. D’altronde il nome Lucia è etimologicamente legato alla luce. Anche in Svezia si festeggia S.Lucia in quello stesso 13 Dicembre che per il calendario antico era la data del solstizio d’inverno ovvero il giorno più breve dell’anno, dopo il quale il sole tornava a splendere sempre di più.


Tra i tanti miracoli attribuiti a S.Lucia il più noto è l’aver salvato Palermo dalla carestia del 1646 facendo approdare nel suo porto una nave carica di frumento che per la fame i Palermitani bollirono, senza aspettare di ridurlo in farina, per poi mangiarlo condito solo con un filo d’olio.
Il seppellimento di Lucia
Caravaggio

Da Wikipedia:

La figura di S. Lucia, nel corso dei secoli, è stata fonte di ispirazione non soltanto sul piano strettamente religioso e teologico, o artistico, ma anche letterario sia nell'ambito di una letteratura colta, diremmo “alta”, sia in un contesto più propriamente legato alla tradizione popolare di questo o quell’ambiente in cui si è, in varia misura, radicato il culto verso la martire siracusana.
Nell’ambito della tradizione letteraria propriamente detta, la figura della Santa ispirò Dante Alighieri. Il poeta nel "Convivio" afferma che aveva subìto in gioventù una lunga e pericolosa alterazione agli occhi a causa delle prolungate letture (Cfr. Conv. III-IX, 15), ottenendone poi la guarigione per intercessione di S. Lucia. Gratitudine, speranza e ammirazione indussero quindi il sommo poeta ad attribuirLe un ruolo fondamentale non soltanto nella sua vicenda personale, ma anche, allegoricamente e simbolicamente, in quella dell’umanità intera nel suo viaggio oltremondano descritto nella Divina Commedia.
S. Lucia nelle tre cantiche diventa il simbolo della "grazia illuminante", per la sua adesione al Vangelo sino al sacrificio di sé, dunque, "via", strumento per la salvezza eterna di ogni uomo, oltre che del Dante personaggio e uomo.
Questa interpretazione religiosa della personalità storica della vergine siracusana, quale santa che illumina il cammino dell’uomo nella comprensione del Vangelo e nella fede in Cristo, risale ai primi secoli della diffusione del suo culto. Così, infatti, l’hanno esaltata, promuovendone la devozione, S.Gregorio Magno (590-604), S.Giovanni Damasceno (674-754), S.Adelmo d’Inghilterra (-709) e tanti altri. Ed è, appunto, a questa interpretazione della figura di S. Lucia, che si collega Dante, in aspra e aperta polemica con il contesto storico di decadenza morale, politica, civile del suo tempo, tema, peraltro, di fondo che percorre tutta l’opera dalla "selva oscura" all’ascesa verso l’"Empireo".
Se esaminiamo con attenzione la figura della martire nella Divina Commedia, si scorge in Lei un personaggio che ci appare vivo e reale nel coniugare in sé qualità celestiali e umane allo stesso tempo. È creatura celeste e umana, quando su invito di Maria scende dall’Empireo, per avvertire Beatrice dello smarrimento di Dante e, del conseguente pericolo, che incombe su di lui:
Questa (e cioè la "donna gentil", Maria indicata sempre così in tutta l’opera) chiese Lucia in suo dimando e disse: Or ha bisogno il tuo fedele di te, ed io a te lo raccomando. Lucia, nimica di ciascun crudele, si mosse... (Inferno II, 92-96).
A questo punto, la santa con gli occhi luminosissimi in lacrime (li occhi lucenti lacrimando volse) si rivolge a Beatrice, la donna amata dal poeta, invitandola a soccorrere Dante personaggio prima che sia troppo tardi: Beatrice, loda di Dio vera, ché non soccorri quei che t’amò tanto, ch’uscì per te de la volgare schiera? Non odi tu pietà del suo pianto? Non vedi tu la morte che ’l combatte Su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? (Inferno II, 103-108)
E ancora, nel 2° regno oltremondano, S. Lucia è creatura umana, materna nel prendere Dante assopito, dopo un colloquio con illustri personaggi in una località amena (la "Valletta dei Principi") e, a condurlo alla porta d’ingresso del Purgatorio: Venne una donna e disse: I’ son Lucia lasciatemi pigliar costui che dorme; sì l’agevolerò per la sua via (Purgatorio IX, 55-57).
E così, dopo averlo aiutato ad intraprendere il difficile cammino di salvezza, a seguito dello smarrimento nella "selva oscura", lo mette in condizione di intraprendere il percorso della purificazione dei propri peccati. Anche qui Dante personaggio, per influsso senz’altro del Dante autore e uomo a lei "fedele", accenna ancora una volta alla luminosa bellezza degli occhi della martire, non senza rimandi simbolici: Qui ti posò ma pria mi dimostraro li occhi suoi belli quella intrata aperta: poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro (Purgatorio IX, 61-63). Infine, la vergine siracusana è spirito celeste, quando al termine del viaggio ultraterreno, nel Paradiso, Dante personaggio su indicazione di S. Bernardo, la rivede nel primo cerchio dell’Empireo, accanto a S. Anna e a S. Giovanni Battista, nel trionfo della Chiesa da lei profetizzato durante il martirio: Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna, tanto contenta di mirar sua figlia che non move occhio per cantare osanna. E contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna, quando chinavi, a ruinar, le ciglia. (Paradiso XXXII, 133-138). Dante, raggiunta la pienezza della sua ascesa, associa questa volta significativamente la figura di S. Lucia a quella della Madre di Maria, S. Anna, collocandola di fronte ad Adamo, il capostipite del genere umano. Maria, Beatrice, Lucia sono le tre donne che hanno permesso, per volere divino, questo cammino di redenzione al personaggio Dante, ma tra di esse, la vergine siracusana rappresenta per il sommo poeta, l’ineludibile anello di congiunzione (e quindi il superamento) fra l’esperienza terrena del peccato e il provvidenziale cammino ascetico-contemplativo dell’esperienza oltremondana.








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